giovedì 15 maggio 2008

TURCHİA

..da Olimpia mi dirigo a Sud, visito Kalamata e Mistras, da li piena direzione Nord.
Una sosta al Teatro di Epidauro e' d'obbligo, e' sempre un brivido lungo la schiena poter sentire ,dall'alto della gradinata, il rumore dell'accensione di un fiammifero e dello strappo di un foglio di carta fatto giu' in basso al centro del teatro a piu' di 100 metri di distanza.
Non esiste in nessun altro posto al mondo un acustica cosi' perfetta!
Ma questo spettacolo non e' sufficiente a farmi dimenticare la visione delle foreste, bruciate l'estate scorsa, mentre attraversavo il Peloponneso. Chilometri e chilometri di nero, l'odore acre del bruciato che aleggiava ancora, un disastro se si pensa che persero la vita anche 20 persone.
Uno spettacolo orrendo, platani pluricentenari arsi vivi come eretici, i cui tronconi di rami si protendevano verso il cielo come enormi braccia che invocavano disperatamente pieta'.
Quasi tutti gli incendi sono stati dichiarati dolosi.. non ha limiti la stoltezza dell'uomo.
Arrivo a Salonicco e mi reco all'ufficio dei pellegrini, voglio chiedere un permesso per visitare il Monte Athos. Mi dispiace signore -mi risponde l'addetto- il primo posto libero e' tra sei mesi!
Stento a crederci che su questa penisola interdetta alle donne, dove pure gli animali allevati per uso domestico sono rigorosamente maschi, non ci sia un monastero che mi possa ospitare.. Mi consolo pensando che un posto senza donne non sarebbe stato sicuramente piacevole.
Punto ad Est, la Turchia e' all'orizzonte.
Decido di non dirigermi direttamente ad Istanbul, svolto a destra dopo un centinaio di chilometri, sono nella penisola di Gallipoli. Il mare e' placido oggi e dalla sommita' delle colline riesco a scorgere il Mare di Marmara con il suo traffico navale ininterrotto.
Erano le 4 e 30 del 25 aprile 1915 quando la flotta alleata composta da Inglesi, Francesi, Australiani e Neozelandesi tento' lo sbarco su queste coste.
Qualcosa non ando' nel verso giusto pero'. Forse le correnti che in quella notte buia spinsero le navi piu' a Nord a ridosso delle scogliere invece che della spiaggia, forse la sfortuna..
Forse, o magari sicuramente, perche' ad aspettarli nelle colline dalle quali sto godendo questo panorama, c'era un reggimento di soldati turchi disposti a tutto.
Chi li comandava era un ufficiale di basso rango a quel tempo, il suo nome: Mustafa' Kemal, divenuto famoso in seguito come Atatürk, il padre dei turchi.
Si racconta che per dirigere le operazioni sia rimasto sveglio per 5 giornı e 4 notti, che sembrava il diavolo a cavallo del vento e che niente poteva fermarlo, neanche la pallottola sparata diritta al cuore fermata dall'orologio da taschino.
Dopo 8 mesi ininterrottı di battaglia gli alleati dovettero rinunciare all'invasione, la Turchia era salva. Tra morti, feriti e dispersi in mare sul campo rimasero 500.000 persone, un ecatombe.
Mentre mi aggiro tra i 31 cimiteri di guerra, sparsi a poca distanza tra di loro, leggo i nomi dei soldati.. commoventi gli epitaffi, uno di questi recita: "sono arrivato giovane in questa terra sconosciuta, non pensavo di dover morire qui, ma sono contento di morire per la mia patria".
Se pochi di voi conoscono questa storia, credo che nessuno sappia che tra le forze alleate c'erano interi battaglioni di Marocchini, Maori, Algerini, Indiani, Tunisini, Nepalesi, Algerini.. tutti forzatamente reclutati dai governi che a quel tempo, sotto le mentite spoglie del protettorato, possiedevano le loro terre. Ma a loro, nessun riferimento nei monumenti sparsi nella zona.
E mi chiedo, allora; per quale patria sono morti costoro?



Nessun commento: